La tecnica e l'ombrellone


Una delle mie caratteristiche è sempre stata quella osservare con molta attenzione tutto quello che mi circonda. In particolare ho sempre trovato curioso osservare, sempre con una certa discrezione in modo da non risultare imbarazzante o in qualche modo influenzarne i comportamenti, le persone e i loro atteggiamenti così da conoscere e capire più a fondo i diversi ambienti nei quali capita di trovarmi.

La situazione migliore per esercitare questa attività credo possa essere il periodo estivo, quando tutti noi ci sentiamo più liberi di prendere iniziative, di gestire il nostro tempo e dare libero sfogo alle nostre passioni più recondite.

NA00087A.gif (2177 byte)Mentre la scorsa estate mi trovavo sulle sponde di un grazioso laghetto di montagna, tra uno sguardo alla figlioletta che giocava e uno al paesaggio, mi è capitato di notare alcuni comportamenti, a dir poco curiosi, della specie umana che andavano tra l’altro a ricollegarsi a episodi simili già osservati parecchi anni or sono. Mettendo insieme diversi tasselli di questo tipo è così venuta così l’idea di analizzare più a fondo alcuni atteggiamenti particolari.

Me ne stavo tranquillamente sdraiato a crogiolarmi al raro sole di quella vacanza, quando improvvisamente, tra il vociare delle mamme e dei bambini, sento il prato tremare a causa di una serie terrificante di colpi dallo spiccato tono ferroso. Un po’ turbato mi alzo e vedo alle mie spalle un energumeno, di chiara origine tedesca, che picchia con forza una mazza di ferro su uno scalpello di qualche centimetro di diametro per conficcarlo a fondo nel terreno.

Stimolato nella mia curiosità cerco di seguire attentamente l’operazione anche perché non riesco proprio a capacitarmi su cosa possa servire una tale procedura in un simpatico praticello sulle sponde di uno specchio d’acqua. Nel frattempo l’operazione di martellamento giunge al termine e, abbandonata la mazza, lo scalpello viene estratto dal terreno con molta attenzione in modo da far posto a un tubo di acciaio lungo una ventina di centimetri e largo due con profilo esterno a vite e piccolo volante, evidentemente preso a prestito dall’automobilina a pedali del figlio, applicato sopra. L’uomo comincia quindi a ruotare l’attrezzo in modo da avvitare il tubo nel terreno per tutta la sua lunghezza e accertandosi che risulti stabile; evidentemente insoddisfatto del risultato, il padre di famiglia però, estrae con una certa decisone il tubo e ripete tutta l’operazione qualche centimetro più in là. Anche il secondo tentativo non sembra riuscire al meglio, così si rende necessario ripetere tutta la trafila una terza volta, naturalmente serie di mazzate esagerate comprese.

Ottenuto finalmente un risultato considerato accettabile, si può intuire dall’espressione soddisfatta del ‘picchiatore’, l’uomo si dirige verso la moltitudine di attrezzature da spiaggia scaricate poco prima da una station wagon riempita come un uovo e, tra il mio stupore, ma non solo il mio, preleva un ombrellone per inserirlo fiero nell’alloggiamento creato con tanta fatica. Tutto questo lavoro alla fine dei conti era stato fatto solo ed esclusivamente per poter piantare un ombrellone, in una giornata nella quale il sole da quelle parti era passato di sfuggita, per lasciarsi subito nascondere da una serie considerevole di nuvole, e il vento era praticamente assente.

Al di là dello stupore e della perplessità che una scenetta del genere può provocare, mi tornano in mente una serie di episodi simili che consentono di confrontare i vari comportamenti in situazioni analoghe e verificare lo spirito di iniziativa e la tenacità di vari impiegati, funzionari, dirigenti, ecc., che si trovano in vacanza e nelle vesti di capofamiglia, quando di solito le mogli lasciano credere ai propri mariti di poter prendere decisioni vitali, come appunto quella di come e dove piantare l’ombrellone.

Una prima conclusione è quella che la tecnica di ‘piazzare l’ombrellone’ non può essere considerata personale, ma viceversa, risente maggiormente dal tipo di terreno sul quale ci si trova. Sarebbe infatti problematico utilizzare la procedura appena descritta su una scogliera piuttosto che su una spiaggia di sabbia molto fine, a meno di aver molto tempo a disposizione. Si rischierebbe inoltre di terminare il lavoro verso il tramonto, risultato probabilmente frustrante per chi lo raggiunge.

chefare.wmf (11702 byte)Su una spiaggia di tipo sabbioso, un’osservazione eseguita parecchi anni or sono ha permesso di individuare una tecnica totalmente differente. La persona, che in tarda mattinata giunge in spiaggia ciondolante tra il rumore degli zoccoli sul lungomare, tiene appoggiato su una spalla l’ombrellone già montato e si trascina nella sabbia alla ricerca del posto ideale. Individuato uno spiazzo adatto nei pressi di una coppia conosciuta qualche giorno prima, e che tutti i giorni cambia posto per evitare la sua compagnia, si ferma, saluta con molta enfasi, deposita a terra il giornale e appoggia l’ombrellone nella sabbia in modo che affondi per pochi centimetri. Mentre viene avviata una amena discussione sul caldo, sul mare, sul tempo, sulla squadra di calcio, ecc., con la coppia braccata, quasi con distacco si avvia un movimento ondulatorio dell’ombrellone in modo da favorirne l’affondamento nel terreno fino al livello desiderato. Naturalmente l’operazione deve essere svolta con più naturalezza possibile senza lasciare intravedere alcun segno di fatica, pena i mancati sguardi di ammirazione dei bagnanti che circondano 'l'ondulatore'. Come dimostrazione conclusiva di lavoro ben fatto, l’ombrellone viene quindi aperto con una sola mano e senza bisogno di tenere fermo il piantone, operazione a rischio di débâcle totale, ma che in caso di successo, garantisce un riposo ristoratore consapevole dell’ammirazione di tutti i presenti.

Per un pieno successo è quindi necessario che tutta l’operazione sia svolta con la massima disinvoltura; mentre infatti la prima tecnica era anche una dimostrazione di forza, questa deriva invece più direttamente dalle facoltà mentali, rendendosi così particolarmente adatta per intellettuali, adolescenti, mogli e anemici.

Completamente differente è invece la strategia da elaborare quando ci si trova su una scogliera. A parte l’opportunità di scegliere una scogliera per crogiolarsi al sole, che forse vuole rappresentare un timido tentativo di immedesimarsi nelle carni e le verdure che vengono depositate sulle griglie, in questi casi riuscire a piazzare l’ombrellone rappresenta un’autentica sfida. Il metodo più paziente impone di ricercare lungo tutto l’arco di costa una fessura che si adatti perfettamente alle dimensioni del bastone di supporto, strada però percorribile solo da chi ha programmato almeno tre settimane di vacanze, pena il rischio di andare fuori tempo massimo. Se restare al solleone resta comunque un’idea non particolarmente gradita, allora i più intraprendenti possono ricorrere alla montagnetta di pietre. Trovandosi su una scogliera infatti esiste la possibilità di racimolare un numero sufficiente di pietre da accatastare alla base dell’ombrellone che risulta così incastrato all’interno di questo agglomerato. E’ richiesta una certa esperienza in modo da impedire alcuni inconvenienti: se infatti le pietre sono troppo poche oppure malmesse la conseguenza più scontata sarà la caduta dell’ombrellone sulla testa degli utenti o addirittura in mare; in questo caso è importante osservare che la morfologia della costa potrebbe renderne problematico il recupero. Un eccesso opposto invece, l’utilizzo cioè di troppi sassi, rischia di provocare una frana che andando a finire su un eventuale e malcapitato sub, provocherebbe in quest’ultimo un certo imbarazzo per spiegare che, mentre si trovava al mare in immersione, è stato travolto da una frana. L’intervento dell’autore del misfatto sarebbe inoltre opportuno per evitare al malcapitato il ricovero in una casa di cura.

Tutti questi metodi richiedono un’attrezzatura particolare; questo significa che di solito, a seconda delle circostanze, la base dell’ombrellone è pensata per una sola di queste situazioni. Esistono però anche i gitanti itineranti: vale a dire coloro che cambiano spesso la sede della balneazione e pertanto hanno la necessità di avere a disposizione un’attrezzatura più versatile. Per costoro, e comunque per tutti coloro che non hanno le idee chiare in materia, è disponibile un tipo di basamento classico: quello in plastica vuota, da riempire in modo da costituire una solida fondamenta contro le intemperie e a favore delle leggi della fisica.

Sorge a questo punto un altro problema: come riempire il basamento? La questione non è così semplice come potrebbe sembrare; se in certe situazioni la risposta può sembrare scontata, in altre lo è molto meno. Intanto c’è da notare come il basamento rappresenti un ulteriore bagaglio da trasportare e, in certi casi di bagnanti ‘fai da te’ con stabilimento portatile stipato nell’auto (canotto, materassino per la moglie, salvagente e braccioli per la prole; tutti rigorosamente gonfiati per non dover ripetere l’operazione quotidianamente e rischiare crisi respiratorie prima ancora di fare l’ingresso sulla spiaggia), potrebbe rivelarsi la classica goccia che fa traboccare il vaso e provocare una decompressione fragorosa dell’abitacolo. La scelta del materiale con il quale riempire il basamento si limita generalmente a due possibilità: acqua e sabbia; altre soluzioni tipo il travaso della tanica di olio di oliva o di vino donata dai parenti all’ultima visita si sono rivelate più che altro dei palliativi e, soprattutto la seconda, ha avuto vita breve dato che di solito al posto del tappo veniva applicata una cannuccia prolungata fino alla sdraio del bagnante. Per i più ‘rustici’ comunque anche l'olio di oliva rappresentava una soluzione estemporanea in quanto in certe zone sopravvive l’usanza di utilizzare il fluido al posto della crema solare per proteggersi dal sole e pertanto, anche in questo caso il supporto finiva con lo svuotarsi anzitempo e rendere precaria la stabilità dell’ombrellone. Se a qualcuno è capitato di trovarsi su una spiaggia e sentire un vago odore di fritto misto senza vedere alcuna grigliata, allora probabilmente si trovava proprio dove veniva praticata questa usanza.

Tornando al problema di riempire il basamento, abbiamo visto che una spiaggia sabbiosa si presta a scelta, a entrambe le soluzioni. Su terreno sassoso, su un prato o sugli scogli invece il problema può presentarsi un po’ più complesso; la soluzione più logica richiede di riempire il basamento di acqua e collocarlo al suo posto, ma non sempre questo risulta facile come potrebbe sembrare. Talvolta infatti capita che il basamento sia un po’ usurato e presenti quindi alcuni forellini; è facile intuire allora che dopo breve tempo il problema si porrebbe nuovamente e, muovendosi ripetutamente dall’acqua fino alla postazione si potrebbe rischiare di importunare qualche bagnante, magari particolarmente restio a scontrarsi da vicino con l’acqua, come potrebbe rivelare un eventuale alone. In certe scogliere particolarmente ripide inoltre, il trasporto del basamento pieno fino alla postazione di balneazione potrebbe rivelarsi impresa difficile e rischiosa per l’incolumità fisica propria e dei vicini. In questi casi si può ricorrere allora all’utilizzo di piccole pietre, ma questa soluzione si addice solamente ai più esperti geologi, possibilmente con conoscenze sulle tecniche giapponesi di miniaturizzazione e pazienza. E’ infatti necessario recuperare un certo numero di sassi dalle dimensioni ben precise: le pietre devono necessariamente passare per l’apertura del basamento che tipicamente è di pochi centimetri, e devono essere collocate in modo da non lasciare troppo spazio vuoto, se si vuole raggiungere un peso rassicurante. La ricerca può inoltre diventare più ardua in presenza di bagnanti concorrenti, per cui è possibile assistere a tremende sfide di racchettoni organizzate per aggiudicarsi un sasso con peso e forma adeguati.

Volendo dare un senso a tutta questa digressione, è possibile concludere che talvolta in situazioni come quelle presentate, non è tanto importante lo scopo che si vuole raggiungere, ma piuttosto il metodo che si riesce a escogitare. Se infatti dopo tutto questo trambusto sotto l’ombrellone si trovano solo la suocera unitamente agli zoccoli, ai racchettoni e alla figlia new age, niente sarà paragonabile alla soddisfazione del marito che da lontano osserva il risultato della sua impresa, nella convinzione che nessuno abbia saputo fare di meglio e che tutti guardino un po’ invidiosi la sistemazione del suo ombrellone.

Per gli uomini meno combattivi e intraprendenti per i quali vacanza è un termine agli antipodi rispetto a ‘fai da te’ resta comunque la possibilità dello stabilimento balneare dove la grave incombenza è affidata alle menti e alle braccia di esperti del settore. Questi infatti, potranno presto sfruttare appositi corsi di specializzazione e aggiornamento che consentano loro di adeguarsi alle nuove esigenze introdotte dal cronometraggio nell’esposizione ai raggi ultravioletti. Sembra infatti che siano allo studio ombrelloni che, scaduto il limite massimo di permanenza al sole, rincorrono l’utente e gli stanno appresso fino al tramonto.


wb01345_.gif (1360 byte)Home Page Indice