Gita a Parigi II - a volte succede ancora
Nonostante una precedente
esperienza memorabile, Parigi resta una meta sempre gradita e ambita anche
quando si tratta di viaggi di lavoro. Oltre all’esigenza di dover in ogni caso
rispettare le pur gradevoli consegne, l’occasione di un viaggio nella capitale
francese in occasione di una conferenza stampa internazionale, può anche
rappresentare la possibilità di dimenticare una spiacevole esperienza
precedente. Sotto queste aspettative la nuova proposta di un viaggio nella
capitale francese a distanza di qualche mese dal precedente si presentava quindi
interessante, o al meno sembrava.
Come d’abitudine,in situazioni del genere la storia inizia con l’incarico da parte del direttore della testata di prendere contatti con la società organizzatrice dell’evento per concordare le modalità logistiche. Sin dalle prime battute, il programma appariva decisamente interessante. Possibilità di partire la domenica per assistere all’evento di lunedì e quindi rientrare in serata, Oppure, partenza il lunedì mattina, con rientro il giorno dopo con comodo. Scartata la terza opzione di un viaggio in giornata e valutata l’offerta di un albergo in pieno centro della città, la scelta cadeva sulla prima offerta. Si trattava a questo punto di scegliere, come da esplicita richiesta tra tre possibili orari di partenza e altrettanti per il ritorno.
Sciolti questi piccoli dubbi, il più sembrava fatto, ma il magico mondo delle PR ancora una volta era in agguato. Nel giro di poche ore arriva una serie di comunicazioni che ridimensionano considerevolmente la portata del viaggio. Prima di tutto, la necessità, “per ordini dall’alto”, di partire il lunedì mattina e rientrare in serata o al massimo la mattina seguente. Quindi, non la scelta tra più voli, sulla base anche delle proprie esigenze, ma un unico volo, praticamente ‘obbligatorio’. Alla luce della dimensione internazionale della società organizzatrice, questi primi inconvenienti apparivano comunque niente più che contrattempi. O almeno così ci si può sforzare di credere.
All’arrivo in redazione
dei biglietti e del programma di viaggio cominciano però a sorgere i primi
sospetti. La partenza è fissata poco dopo le ore sette del mattino, con volo di
compagnia a basso costo, non comunicato in precedenza. In condizioni abituali,
non significa granchè, se non un minimo di spirito di adattamento, ma in
occasione di un invito da parte di una multinazionale tra le principali del
settore, affiora inevitabile qualche perplessità. Nel caso specifico, compagnia
a basso costo significa nell’ordine: banco unico per la registrazione con
relativa coda, trasporto manuale dei bagagli all’aereo, lotta per aggiudicarsi
un posto e nessun supporto durante il volo, arrivo in aeroporto minore. Tutti
contrattempi che presi singolarmente appaiono per quello che sono, ma che messi
insieme si trasformano rapidamente in segnali inquietanti. Infatti, all’arrivo
allo scalo di Parigi Orly, un nuovo colpo, questa volta decisamente più intenso.
Per ragioni misteriose, l’evento è stato trasferito dall’originale hotel in zona
Montparnasse, in un più defilato edificio alla periferia. Ma non una periferia
qualsiasi, un’area a poche centinaia di metri dall’aeroporto principale, dove
atterrano tutti i voli ‘normali’.
Succede così che nella hall di un Hotel alle porte di Charles de Gaulle un manipolo di giornalisti italiani, alle ore 10 (tre dopo la partenza da Milano, dalle quattro alle sei dopo la sveglia e quattro prima della conferenza) cominci a guardarsi in faccia perplessi, chiedendosi come occupare quel tempo, possibilmente senza lasciare spazio ai primi pensieri bellici nei confronti dell’organizzazione, che cominciavano a prendere corpo nelle menti di ciascuno. Il desiderio di fuga aveva parzialmente il sopravvento, nel senso che il gruppo decideva di dividersi in due: quattro avventurieri desiderosi di sfruttare comunque il tempo una pur breve vista della capitale francese e gli altri in camera a meditare sulle forme di protesta più consone da inoltrare ai rappresentanti della società, evitando per quanto possibile soluzioni ritenute barbare.
Per i quattro
avventurieri inizia così una corsa contro il tempo verso i monumenti parigini.
Trasferimento su base navetta hotel-terminal, biglietteria RAR, trenino verso il
centro città, sortita in prossimità di Notre Dame, perimetro della Cattedrale,
puntata in direzione centro Poumpidou sfiorando la Saint Chapel e pronto rientro
in Métro per ripetere il percorso a ritroso. Tempo utile totale di visita: circa
40 minuti. Una accurata tabella di marcia consentiva addirittura un passaggio in
camera per accantonare l’aspetto da turista e riprendere celermente quello
professionale, facendo l’ingresso nella sala conferenze in un vano tentativo di
nascondere un evidente affanno e con la penitenza di dover transitare davanti a
un plotone di camerieri indaffarato a rimuovere ogni traccia di un appetitoso
quanto esaurito buffet.
Se c’è una cosa che in questi casi funziona, di solito è la conferenza stampa. Non volendo essere da meno, l’organizzazione si curava però di mantenere l’evento nei binari. Nel locale adibito lo spazio è calcolato al centimetro, per cui risulta strategico accordarsi con il vicino di posto in modo da raggiungere movimenti coordinati dei gomiti, al fine di evitare l’innesto cadute a catena di materiale tipografico e accessori presenti sui tavoli. L’alternativa sarebbe una poco lodevole sfida di forza.
Sul retro del palco troneggia la riproduzione in legno della parte bassa della torre Eiffel, chiaramente adattata in fretta alle ridotte dimensioni della sala recuperata. L’evento vissuto a ‘stretto’ contatto con gli oratori, rischia di passare nell’anonimato più totale, ma il finale riserva una sorpresa degna della circostanza. Uno spettacolo idro-pirotecnico al ritmo di can can provoca infatti una fuga frettolosa dalla sala da parte di tutti gli ospiti, causa aggressione di una densa nube di fumi sulfurei.
Nella tranquillità del dopo conferenza, a ciascuno tocca aspettare il turno per la famigerata quanto inevitabile intervista. In queste occasioni infatti, le società di pubbliche relazioni insistono pesantemente affinché ogni giornalista accumuli un numero imprecisato di interviste con ogni rappresentante della società organizzatrice dell’evento, autisti compresi. Raramente nella storia del giornalismo da tali interviste tenute su sedie disposte in ogni anfratto della ‘press-zone’ sono uscite opere dallo spessore culturale maggiore di un regolamento di condominio.
Ammirevole la voglia di riscatto della società, desiderosa di riqualificare la propria immagine attraverso una serata con cena in bateau mouche lungo la Senna. Quando tutto sembrava girare per il verso giusto, ecco affiorare implacabile il tarlo della giornata storta. I tre ballerini invitati per uno spettacolo di can can a bordo, hanno il loro bel da fare a mantenere l’equilibrio sul lucido parquet, destreggiandosi in movimenti precari all’interno dello stretto corridoio che separava due file di tavoli. Due feriti leggieri e un intero servizio di bicchieri dato per disperso è il bilancio finale della serata.
Inutile negare che il ritorno in albergo lascia qualche timore, ma in realtà la notte sarebbe trascorsa tranquilla, nella consapevolezza di aver ormai già vissuto quello che c’è da aspettarsi il giorno dopo. Infatti, passare all’alba da un aeroporto all’altro per prendere un volo a basso costo e riuscire a essere traghettati a domicilio appare ormai il male minore di fronte alla speranza di poter tornare al mittente sani e salvi. Viste le circostanze, non è una cosa da poco, ma questa volta gli imprevisti sono rimasti a guardare, e forse proprio questo è stato l’ultimo imprevisto.
Parigi, insomma, resta sempre un ricordo unico.