Turismo, che passione


Immaginiamo di trovarci in un ristorante all’estero, in compagnia di un conoscente che da qualche tempo abita in quel luogo. Pensiamo quindi di chiedere a questa persona di guardarsi intorno e identificare un nostro conterraneo. Probabilmente un rapido sguardo sarà sufficiente a dare una risposta certa, ma quale potrebbe essere il criterio che ha motivato una scelta così rapida e sicura? Diversi sono i particolari che potrebbero rivelare l’origine in situazioni di questo tipo, ma tutti tornati utili per capire che si tratta di un italiano. Se per esempio, il nostro ristorante fosse in un paese europeo o nordamericano, allora un fattore discriminante potrebbe essere senza dubbio la constatazione che la persona da identificare sta probabilmente accompagnando delle patate insieme a del pane, che quasi certamente ha dovuto chiedere espressamente a una cameriera a metà strada tra lo stupito e il rassegnato.

Questo banalissimo esempio può servire a introdurre un discorso abbastanza curioso e interessante: moltissimi tra noi tutti i giorni cercano di apparire e farsi notare, aspirazione peraltro pienamente legittima, ma alla luce dei fatti si utilizzano strumenti, primo tra tutti la moda, che tendono drammaticamente a uniformare e ad apparire perlomeno stravaganti davanti a occhi non abituati. È il caso tipico dell’italiano all’estero, non l’emigrante, costretto giocoforza a integrarsi, ma di una categoria molto più interessante sotto l’aspetto comportamentale: il turista italiano all’estero, preferibilmente in comitiva di viaggio organizzato.BD05721_.WMF (37984 byte)

Davanti a qualche importante monumento di una grande città è uno spettacolo abituale vedere lunghe file di pullman che scaricano frotte di turisti. Lo sciame proveniente da quello con targa tricolore, appena toccato il suolo comincia a dare libero sfogo al proprio senso critico con una serie di giudizi mirati all’architettura: “bello, ma però dalle mie parti…”  e sulla gente: “certo, si vede che sono proprio……” accompagnati da una serie di sorrisi sarcastici. Talmente presi da questa attività, il gruppo non si rende neanche conto che in realtà è lui stesso a rappresentare la vera attrazione, come possono testimoniare raffiche di fotografie scattate dalla adiacente comitiva di giapponesi con la scusa di inquadrare un monumento retrostante piuttosto che il capo di abbigliamento da copiare. Qualora capiti di trovarsi nel ruolo di osservatore di questo fenomeno, si potrebbero fare alcune constatazioni interessanti. Per esempio, tutti presi a giudicare l’ambiente circostante, il nostro bel ‘gruppo vacanze’ potrebbe non accorgersi di essere curiosamente osservato per la serie di vestiti, scarpe e accessori che sembrano usciti da una catena di montaggio e per l’irrefrenabile frenesia di riprendere qualsiasi cosa con la telecamera. Per quanto riguarda l’abbigliamento, niente da dire sul buon gusto del turista italiano rispetto alla media europea, ma non lo stesso probabilmente si può affermare circa la fantasia; ‘qualità' privilegio dei francesi, che in questo sono imbattibili, anche a costo di svelare accostamenti da pugno in un occhio.

La voglia matta di riprendere con la telecamera invece, potrebbe derivare da due fattori. Il primo è il costo sopportato per la telecamera e la relativa convinzione di poter così stimolare, al ritorno, l’invidia di amici e parenti (avete mai notato una certa crescente ritrosia ad accettare inviti in casa di persone appena tornate dalle vacanze? Sarebbe troppo alto il rischio di rispondere alle aspettative di sottile invidia con plateali russare). La seconda causa potrebbe invece essere legata a problemi di lingua, che rendono difficilmente comprensibile i programmi delle televisioni presenti negli alberghi e può trovare nella telecamera la tentazione di trasformarsi in registi ed evitare di rompere il cordone ombelicale con l’adorata scatola magica.

Terminata la parte ‘culturale’ del programma di viaggio con la visita guidata a ritmo di centometrista, la comitiva trova rifugio nel tanto desiderato ‘ristorante tipico’. È qui infatti che il gruppo passa buona parte delle sue vacanze a fare con ritrosia esperimenti culinari e a lamentarsi del cibo, che porta inevitabilmente a proclami del tipo: “non si mangia bene come dalle mie parti”. Forse i più ignorano che il turista che non sceglie il ‘fai da te’, il più delle volte finisce in surrogati di trattorie, dalle quali al suo paese si manterrebbe ben lontano e dove l’espressione ‘cucina locale’ è riferita solamente alle mura del locale adibito a preparazione dei cibi. Il fatti che raramente si vedano avventori del luogo, dovrebbe perlomeno far sorgere qualche perplessità.BD05724_.WMF (64802 byte)

Quando capita, soprattutto nelle visite artistiche, che il gruppo includa anche comitive di provenienza diversa, stiamo certi che la prima persona a commentare il luogo o le parole del cicerone, sarà uno di noi; l’inevitabile battutina patriottica cercherà inutilmente sguardi compiacenti tra i compagni di esperienza stranieri, che in cambio non faranno economia di sguardi compassionevoli e sconsolati. Il nostro cabarettista però non si curerà di tutto ciò, preso come sarà dalla telecamera, con interminabile commento in diretta, e dalla ricerca di foto ‘originali’ che, se messe insieme a quelle di tutti gli altri, nessun autore saprebbe distinguere.

Pienamente coinvolto nel clima vacanziero, il turista veste abbigliamento in tono, che mai si sognerebbe di indossare a casa sua e si lascia trascinare dalla follia un po’ perversa degli animatori in serate tema variabile che, con il succedersi, possono portare a preoccupanti squilibri della ragione. È solamente così, se non con una velata e innocente ignoranza, che si può spiegare affermazioni come quelle di diversi turisti di ritorno da Vienna: “Che carini, ci hanno anche preparato la cotoletta alla milanese, perché sapevano che venivamo da Milano” (per chi non lo sapesse, la cotoletta ‘alla milanese’ è stata introdotta in Italia proprio dagli austriaci), senza pensare che in quell’albergo si trovano turisti provenienti da qualche centinaio di luoghi, oppure convinti di rappresentare qualche cosa di speciale per l’albergo, “visto quello che paghiamo” (più o meno lo stesso di tutti, ma proprio tutti, gli altri).

Trascorrono così, più o meno serenamente, le giornate, fino al momento di affrontare i venditori locali per l’acquisto dei souvenir. Qua si nota innanzitutto il ‘buon cuore’ di gente pronta ad alzare barricate vocali contro la povertà e i bambini che fanno la fame, salvo poi visitare i paesi poveri e tirare sul prezzo dei souvenir fino allo spasmo dell’offerente che, se non morirà di stenti, probabilmente guadagnerà un esaurimento nervoso. Altro fattore determinante dell’ultima parte della vacanza è quello di cominciare a lamentarsi di tutto, naturalmente a partire dalla cucina. La stanza, l’albergo, il personale, la piscina, il traffico, la guida, l’aereo e, soprattutto, il tempo sono oggetto di proteste assortite mirate forse al tentativo di essere eletti a paladini coraggiosi della protesta e dei diritti dei turisti in comitiva, ma più probabilmente a ottenere qualsiasi forma di indennizzo, preferibilmente da tradurre in rimborsi o sconti. Questo naturalmente fa sì che il turista sul finire del soggiorno tenda a ‘riacclimatarsi’ pronto a tornare sul posto di lavoro dove passerà buona parte del tempo libero a lamentarsi del capo, del collega, dell’ufficio, del cibo, dello stipendio, ecc. Attività che il soggetto cercherà di proseguire anche durante un eventuale pendolarismo in treno o su mezzo pubblico, in compagnia del malcapitato di turno.BS00973_.wmf (5202 byte)

Il ‘turista di gruppo’ tende quindi a ripararsi dietro il paravento del viaggio organizzato per dare libero sfogo alle proprie frustrazioni, attraverso lamentele a trecentosessanta gradi contro chi non vuole comprendere che ‘lui non è un turista come tutti gli altri’.

Quando i ricordi cominciano lentamente ad accumularsi e a lasciare sempre più spazio alla pista di atterraggio di casa, ecco che riaffiorano quei momenti, che sembrano così lontani, dove il viaggiatore sembrava un tutt’uno con il paese visitato e dal quale si ostina a voler portarsi qualcosa appresso. Visto che animali selvatici e reperti archeologici rappresentano un rischio, dalle porte degli arrivi internazionali, vediamo spuntare branchi di ambasciatori culturali che non hanno alcun bisogno di raccontare dove sono stati. Per loro parlano molto chiaramente improbabili treccine ‘rasta’ se provengono dalla Giamaica, cappelli in cuoio che nessun indigeno si sognerebbe di portare se provengono da un paese africano (sombreri dal Messico), lance anti-aerodinamiche e frecce che tutt’al più potrebbero servire per segnalare la direzione, da paesi tropicali, murales spacciati per tatuaggi dall’oriente e pensieri di quel samba scatenato ballato freneticamente e orgogliosamente tra la popolazione di Rio che intanto se la rideva.


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